Scritto per la pagina Facebook della rivista “sulla quarta corda”
Un piccolo racconto prima delle feste natalizie:
Una goccia cade dentro un recipiente spezzando un silenzio scostante, deformante, allucinatorio.
Una piccola stanza cupa, spoglia, con quattro mobili messi in croce, anch’essi devastati dal tempo che non risparmia nessuno.
Un’altra goccia ha un suono più alto, un suono che con prepotenza solca l’aria, colpisce i muri, colpisce gli oggetti e l’ombra delle cose che mai appartengono e mai arriveranno.
Il pavimento è sporco di residui di cibo come molliche e cipolle, l’aria è pesante piena di odori, ma nessuno fastidioso: ricordano casa, ricordano quello che è e che non sarà più.
Non si sente nulla adesso, niente che scandisca il tempo a parte il tempo stesso, roditore e mutante che trasforma le cose quando chiudi gli occhi, quando chiudi la porta, quando chiudi la mente.
Niente cuore, niente respiri, solo…
Un’altra goccia, la terza, la quarta, non si sa, nessuno tiene il conto, il mondo se ne fotte di tutto e di tutti, se ne fotte se parli o stai zitto, se ne fotte se bevi o mangi, se è giorno o notte se sei dentro la stanza come un cretino in silenzio a farti delle pippe mentali perché ti hanno cagato al mondo così o se vai fuori a farti la tua dose di sesso settimanale con la prima che capita.
Esaurimento, così lo chiamano, esaurimento, come se avessi le pile scariche o finito la benzina. ESAURIMENTO, a me la testa va a tremila, corre come il pene metallico di un treno dietro alla prima sottana compiacente… Dovrebbero chiamarlo “inceppamento” non esaurimento, perché c’è qualcosa di inceppato in me, qualcosa che sta tra il cuore e il cervello, qualcosa che sta vicino alla gola e ha il sapore della rabbia mista a piacere…
Un’altra goccia: forse è il suono della mia anima incastrata tra gli ingranaggi della mia fantasia… un suono che si propaga nel vuoto che sta dentro di me, dentro la vita che disgustata se ne va senza neanche avvertirti, senza…
O forse è solo una goccia, solo una goccia che, come me, se n’è andata di casa per andare in un altro posto, lasciando dietro di sé quell’inceppamento che rende tutto difficile, per accogliere la speranza in una nuova casa, che sta al di à del mare, al di là dei sogni, dei racconti e della miseria che ci incatena a un falso mito chiamato sicurezza.
Un’altra goccia e un’altra e un’altra ancora, nessuno la sente più parlare, nessuno sente i suoi pensieri, nessuno sente la sua arte ed è li a vivere, a chiamare. Nessuno conoscerà la sua arte e nessuno capirà mai il tentativo della sua immortalità, finché nella sua tenacia qualcuno – forse io o forse tu – aprirà la porta di questa stanza e sentirà quello che c’è da dire.
Per aspera ad astra e per un mondo migliore
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